sabato 24 gennaio 2015

I 1000 Miliardi della BCE? Ecco la verita'

I 1.000 miliardi di Draghi serviranno ad aumentare le riserve delle banche ma non risaneranno l'economia reale né miglioreranno il tenore di vita dei cittadini



VIVERE SENZA L'EURO
I 1.000 miliardi di Draghi serviranno ad aumentare le riserve delle banche ma non risaneranno l'economia reale né miglioreranno il tenore di vita dei cittadini
Il clamore suscitato dall’utilizzo del bazooka finanziario in mano alla BCE, ovvero la realizzazione di un Quantitative Easing su scale europea in grado di riportare l’economia del Vecchio continente sulla via della crescita è ingiustificato.
Il QE non serve a niente…o meglio, serve solo al sistema bancario e finanziario.
Gli effetti che vengono individuati nel grafico pubblicato dall'agenzia ANSA (in allegato) sono o non corretti (aumento dell’inflazione) od assolutamente inutili (aumento della domanda dei titoli di Stato, abbassamento del costo dei prestiti,..).
L’economia reale non ripartirà e non può ripartire attraverso una pur gigantesca creazione di riserve bancarie, perché al circuito reale non arriverà nulla di ciò.
Purtroppo la Troika continua a non voler affrontare il reale motivo che ha scatenato questa crisi, ovvero la crescita del debito totale (pubblico ma soprattutto privato) che in termini di costi (ovvero di spesa per interessi) costa, ad esempio, allo stato italiano il 14%del PIL (220 miliardi di euro). La giusta soluzione sarebbe quella di stimolare la domanda reale immettendo liquidità nel sistema economico e non sui mercati finanziari, perché come già visto, poi tutta questa massa di moneta creata dalle banche centrali (riserve) resta confinata al mercato. Nulla o quasi giunge all'economia reale.
In termini pratici, un QE di 1000 miliardi di euro porterebbe ad un incremento del reddito di appena 30-50 miliardi!! In Gran Bretagna l'effetto del loro QE da quasi 500 miliardi di euro (cioè di una dimensione enormemente superiore a quello proposto dalla BCE se paragonato alla singola economia inglese) è stato un aumento di soli 50 miliardi di extra reddito all'economia reale; per ogni sterlina di QE, sono arrivati all'economia reale solo 8 pence. Se invece, si fosse adottata la strategia di immettere moneta direttamente nel sistema reale (nelle tasche dei cittadini), con soli 10 mld di sterline si sarebbe avuta una crescita del PIL di 28 mlddi sterline.
Dunque, la domanda da porsi a questo punto è: quanti dei miliardi creati dalle banche centrali di mezzo mondo sono poi arrivati all’economia reale?
Risposta: quasi nulla, zero.
C’è infatti un fraintendimento di base, dettato dall’ignoranza di molti e dalla malafede di altri, sul Quantitative Easing (QE) che viene chiamato a sproposito “stampare moneta” o “iniettare liquidità”.
La Banca del Giappone, al pari della FED e della BOE, non fanno altro che procedere a un’operazione di acquisto di titoli di stato, azioni, altri asset finanziari “a rischio”, al fine di aumentare la base monetaria. Questo intervento, consiste in uno scambio di riserve bancarie (create al momento dalla banca stessa) con titoli di Stato. Attraverso questa pratica, i titoli vengono rimossi dalla circolazione e scambiati con riserve (ecco il motivo per cui la base monetaria aumenta). L’unico effetto reale del QE, è che aumenta le riserve bancarie delle banche .
Attraverso il Quantitative Easing :
1) Non si “inietta nuova liquidità”, non si“stampa moneta”, ma si creano riserve bancarie e non si produce alcun effetto sulla domanda aggregata;
2) L’aumento di riserve NON significa incremento dei crediti che saranno erogati dal sistema bancario alle attività produttive, perché le riserve per definizione, non operano al di fuori del sistema bancario (le riserve non si possono prestare a privati per mutui o finanziamenti);
3) Mediante il riassorbimento dei titoli di Stato, la Banca Centrale sottrae al settore privato anche il rendimento dello stesso titolo, quindi in realtà rimuove liquidità, non la aggiunge al sistema dell’economia reale. Produce quindi un effetto deflazionistico ( è come se si aumentassero le imposte, la moneta nel sistema reale diminuisce, non aumenta).
4) Infine, le politiche di QE non creano “direttamente” inflazione.
Non esiste alcun nesso diretto tra l’economia reale e le politiche di QE. La maggior parte degli effetti di dette politiche si consuma direttamente nei mercati finanziari e tocca solo marginalmente l’economia reale (privati ed imprese) limitatamente ai casi in cui si abbiano grandi ricchezze e proprietà.
I mercati invece sono assai sensibili alle politiche di QE per una serie di motivi che ora andremo ad analizzare.
In primo luogo a risentire positivamente del QE è il mercato obbligazionario e del debito sovrano; la certezza che il debito contratto, per quanto elevato, troverà sempre un compratore, rende l’investimento a rischio praticamente nullo. Dunque la domanda di “safe asset” è forte e comprime i tassi dei titoli di Stato, portandoli a quotazioni fino a qualche anno fa inimmaginabili.
In secondo luogo, la riduzione del costo del debito, induce una maggior competitività delle aziende presenti sul mercato (gli interessi passivi rappresentano un costo per il sistema produttivo) e dunque anche la componente azionaria finisce per godere dell’allentamento delle tensioni sul mercato del credito.
Il fatto che i vari QE siano operazioni di tipo deflazionistico, spiega anche il crollo dei corsi dei metalli preziosi e dei beni rifugio in generale.
Indirettamente, un altro effetto dei vari QE, è quello di permettere l’utilizzo di un sempre più ampio ventaglio di asset da porre a garanzia nei prestiti tra banche ed istituzioni finanziarie per ottenere nuova liquidità da reinvestire poi sul mercato finanziario, favorendone in ultima istanza crescita.
Il tutto senza che nulla giunga all’economia reale.
Le politiche di QE adottate, sebbene abbiano impedito il prodursi di una catastrofe finanziaria ed economica come accadde nel 1929, sono ben lungi dal poter essere considerate le migliori strategie possibili.
Il problema, se lo si vuole semplificare al massimo, è che in Italia c’è troppo debito totale (pubblico e privato), poca moneta (perché il sistema bancario ha ridotto il credito e lo Stato ha ridotto i deficit) ed un livello eccessivo e punitivo di tasse. Si deve mettere la moneta nelle tasche di famiglie ed imprese; il riacquisto di debito sovrano da parte delle banche centrali non porta un centesimo nelle tasche dei privati, ed anzi, abbassando i tassi, riduce anche il flusso d’interessi.
Il più prestigioso ed illustre economista monetario, Mike Woodford si esprime in questi termini “ occorre una creazione permanente di moneta tramite trasferimenti diretti a famiglie ed imprese che consistono in riduzioni di tasse, accoppiati ad acquisti addizionali di debito governativo, per cui i tagli di tasse vengono effettivamente finanziati con creazione di moneta”.
Purtroppo per noi, in Europa ed in Italia, i Governi continuano a non trattare il tema monetario nel più ampio contesto dell'economia reale, fallendo passo dopo passo, amplificando la depressione e creando miseria e povertà.
di Stefano Di Francesco 23/01/2015 

sabato 17 gennaio 2015

Segreti e vantaggi del ritorno alla Lira: ecco perche' e chi ostacolerebbe il processo di conversione ed uscita dall' Euro !!!

Un ritorno alla lira peserebbe soprattutto su quelle banche che si sono indebitati (per vantaggi fiscali) con legislazioni estere

di Franco Ferré

Nel benemerito convegno per il terzo compleanno di Goofynomics tenutosi qualche settimana fa a Pescara, uno dei pochi punti su cui si sono registrate delle imprecisioni è nel dibattito sul concetto di conversione dei bond emessi in euro e, più in generale, la ridenominazione in nuove lire dei debiti originariamente in euro. 

É strano, perché del tema si parla da anni, e mi aspettavo che, su questioni come questa, il dato fosse ormai acquisito, in particolare tra gente che vive occupandosi di economia, ma non era così: ad esempio Andreas Boltho ha insistito sul concetto che gli emittenti italiani si troverebbero a dover ripagare in euro dei debiti contratti in euro, e dovrebbero farlo comparandoli contro lire (svalutate).

Questo ha fatto pensare che ci sia bisogno di un ripassino, anche perché ci sono aspetti del problema che non sono banali e che costituiscono forse uno dei punti più critici del futuro, probabilmente inevitabile, ritorno alla lira. Tutto ruota intorno al concetto chiave di giurisdizione che regola il debito. La giurisdizione stabilisce che legge seguono i debiti al verificarsi di alcuni eventi, generalmente quelli non previsti dalle norme che li hanno costituiti, oppure per quelli prevedibili, ma poco frequenti, come ad esempio il CAMBIO DELLA MONETA CON CORSO LEGALE NEL PAESE DI GIURISDIZIONE.
Questo evento é già accaduto per i debiti italiani nel 2001 con il passaggio all’Euro, e accadrebbe di nuovo, se dovessimo tornare alla Lira, con la notevole differenza che allora il rapporto di conversione tra vecchia e nuova moneta era fisso e tale rimaneva, perché la vecchia moneta andava fuori corso, mentre stavolta la vecchia moneta (che sarebbe l’Euro) rimarrebbe valida in altri paesi. Ciò significa che, dopo il primo giorno, il rapporto di cambio con la Nuova Lira non sarebbe più 1 a 1, ma inferiore, in una misura che, a regime, ipotizziamo ai fini dei prossimi ragionamenti possa essere del 30% (è un valore alto, probabilmente esagerato: la differenza cumulata di inflazione tra noi e la Germania è inferiore, anche se questo fattore non sempre spiega l’andamento dei mercati dei cambi, ma questo è un discorso più ampio).

Torniamo alla giurisdizione. Se l’Italia uscisse dall’Euro ed adottasse le ipotetiche Nuove Lire (NL), ai debiti regolati dalla legge italiana si applicherebbero una serie di disposizioni del Codice Civile, note nel loro complesso come Lex Monetae; esse stabiliscono, in sostanza, che un debito nato in Euro potrà essere ripagato in Nuove Lire al cambio stabilito al momento della conversione della moneta a corso legale. Per un creditore italiano, ciò renderebbe indifferente quello che succederà dopo. Un debito in Euro sarà rimborsato in NL e dato che il creditore vive in Italia e compra beni in NL, per lui non cambia nulla. L’investitore straniero, invece, ci perde, perché, una volta ricevuto il pagamento, dovrà convertire le Nuove Lire nella sua valuta e, con la svalutazione ipotizzata al 30%, prenderebbe solo 0,7 Euro. Male, ma non gliel’ha mica ordinato il dottore di comprare titoli di un paese che stava per essere stritolato dall’Euro; e poi quel rischio era già stato ripagato dal tasso di interesse, più alto rispetto a quei paesi (un esempio a caso: la Germania) che nell’Euro ci stavano bene e per i quali l’evento “uscita” era meno probabile. It’s the economy, stupid: se hai un rendimento è perchè stai correndo un rischio. Niente e nessuno deve garantirti che, a fronte di un rendimento (neanche piccolo), tu non debba mai e poi mai perderci nulla (vero Frau Merkel?).

La Lex Monetae, abbiamo detto, funziona solo per i debiti contratti con la legge italiana, mentre per i debiti contratti secondo il diritto estero no. Quindi, se l’Italia esce dall’Euro e poi svaluta, tanto più gli emittenti italiani hanno debiti regolati dal diritto domestico e tanto meno – da questo punto di vista – sarà un problema uscire. La domanda, a questo punto, diventa di tipo statistico:quanto debito abbiamo in giurisdizione italiana e quanto è regolato dalla legislazione di qualcun altro?
Il debito complessivo di un paese è la somma di tutti i debiti contratti dai vari soggetti residenti (stato, banche, altri soggetti non bancari), classificati a seconda della modalità con la quale essi sono strutturati, che spesso coincide con l’orizzonte della durata del debito stesso. Avremo quindi debiti a breve e debiti a medio lungo termine. I debiti a breve sono contratti molto spesso regolati da strumenti molto semplici come lo scoperto di conto corrente, il fido di cassa, oppure i debiti di fornitura commerciali: stiamo parlando di obbligazioni per lo più tra residenti (chi va a farsi fare un fido di cassa su un conto corrente presso una banca all’estero?) con somme da ripagare in tempi ristretti. Questi debiti seguono la Lex Monetae o, se non la seguono, vedranno oscillazioni piccole, dato il limitato lasso temporale in cui maturano.

Tra i debiti a medio lungo termine, i mutui sono anch’essi stipulati in grandissima parte verso banche italiane (e ai fini della Lex Monetae, sono italiane anche le filiali di banche estere) quindi non sfuggono alla ridenominazione. La grande parte dei debiti che potrebbero non seguire la Lex Monetae sono le altre tipologie di obbligazione a medio lungo termine, tipicamente strutturate, che possiamo racchiudere nel termine inglese Bond. Questi, infatti, possono essere emessi da soggetti italiani anche secondo la giurisdizione di altri paesi, quindi per questo tipo di debito il problema della conversione si pone.
Per capire le dimensioni del problema é fondamentale valutare i numeri. Quanti sono i Bond emessi da soggetti italiani secondo giurisdizione non italiana?
Dal punto di vista tecnico, nessuno degli elementi visibili di un Bond permette di stabilire con certezza la sua giurisdizione, dopodiché i primi due caratteri del codice ISIN, insieme alla valuta di emissione, possono essere una buona approssimazione. L’ISIN è visibile sia nei prospetti di emissione, sia in tutte le piattaforme di trading on line operative in rete.
fonte: 
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=9722